E. Pagano u.a. (Hrsg.): Milano 1814. La fine di una capitale

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Titel
Milano 1814. La fine di una capitale


Herausgeber
Pagano, Emanuele; Riva, Elena
Erschienen
Milano 2019: Franco Angeli
Anzahl Seiten
272 S.
von
Maria Luisa Betri

Il volume pubblica gli Atti di giornate di studio svoltesi a Milano nel dicembre 2014, nella ricorrenza del bicentenario della caduta del Regno d’Italia napoleonico. Nel complesso, i saggi non vertono tanto sul 1814, annus horribilis e mirabilis al tempo stesso, cesura epocale per Milano come per larga parte dell’Europa, soffermandosi piuttosto sulla città degli anni francesi, capitale di un Regno esteso e popolato da oltre sei milioni di abitanti, nella quale un «personale politico, amministrativo, militare, intellettuale» proveniente dalle differenti regioni d’Italia elaborò «un modello propriamente nazionale» tale da consentirle «di rimanere, anche nei successivi anni austriaci, un importante laboratorio di modernità e una fucina della nascente identità italiana» (p. 9). Proprio il nodo storiografico della “transizione” è l’asse tematico del volume, che i contributi affrontano con approccio multidisciplinare, mettendo in luce come il passaggio dall’ordine napoleonico alla nuova formazione statuale del Regno LombardoVeneto, in cui Milano divenne una più periferica sede di governo, sia avvenuto in vari settori della vita istituzionale e civile all’insegna di una sostanziale continuità, piuttosto che di significative cesure.

In apertura della prima delle due sezioni in cui è diviso il volume, dal titolo Milano capitale: politica, istituzioni e società, Elena Riva ricostruisce le dinamiche delle differenti culture politiche che si manifestarono nell’incalzare degli eventi di quel fatidico 1814, in uno scenario in cui le sorti dell’ex Regno apparvero incerte e nebulose. In quel periodo, il 20 aprile, Giuseppe Prina fu linciato, vittima della folla inferocita e del fallimento delle mediazioni: quella tragica fine ha lungamente messo in ombra la sua statura politica, alla quale Stefano Levati restituisce il giusto rilievo sottolineando la competenza con cui egli svolse l’attività ministeriale, ispirato da un disegno di risanamento e di modernizzazione dell’apparato finanziario. Nell’ambito della costruzione istituzionale dell’Italia napoleonica, Alessandro Giovanazzi tratta della nota competizione tra Bologna e Milano e della graduale, ma inarrestabile erosione da parte di quest’ultima delle conquiste ottenute dalla città felsinea, riuscita inizialmente a imporsi, grazie ai costanti sforzi profusi da Antonio Aldini, soprattutto come valido centro culturale alternativo. E tutto ciò, nonostante Napoleone, consapevole della natura policentrica della realtà italiana, avesse inteso evitare un eccessivo accentramento in Milano, simile a quello esercitato da Parigi in Francia. Sulla base di un approfondito scavo delle fonti archivistiche, Alexander Grab presenta un’ampia casistica della conversione al cristianesimo di membri delle comunità ebraiche del Mantovano, dei dipartimenti emiliani e marchigiani, nelle quali le pressioni delle autorità religiose causarono talora tensioni con quelle civili, decise a riaffermare la supremazia dello Stato sulla Chiesa e il rispetto delle leggi napoleoniche a favore della libertà religiosa. Ritornati gli austriaci, una repentina e netta inversione dissolse l’alone sacrale che negli scritti e nei discorsi del clero e dell’episcopato aveva circondato il potere e la persona di Napoleone, accostandolo, quale “nuovo David” e “unto del Signore”, alle più note figure delle scritture veterotestamentarie, come scrive Riccardo Benzoni, mentre si andò rapidamente diffondendo la “leggenda nera” della sua azione profanatrice e sacrilega. Nei successivi decenni della Restaurazione emerge invece con evidenza il lascito della politica scolastica napoleonica – osserva Emanuele Pagano – «nel senso della laicizzazione, della pubblicizzazione e della uniformazione della scuola» (p.120), con l’impulso allo sviluppo sia dell’istruzione primaria, compresa quella femminile, sia dei ginnasi e licei, di Porta Nuova (denominato dopo l’Unità Liceo Parini) e di Sant’Alessandro, l’odierno Liceo Beccaria. L’innegabile perdita di peso politico e amministrativo subita da Milano con la caduta del Regno d’Italia si riflesse anche nella crisi vissuta dalla folta schiera degli intellettuali-funzionari che si erano fortemente radicati nella statualità della vivace e colta capitale napoleonica. Numerosi di loro tuttavia, argomenta Gianluca Albergoni sfumando l’interpretazione a suo tempo sostenuta da Berengo in Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione (1980) di una loro decisa ostilità nei confronti del nuovo governo 1 seppero destreggiarsi tra mercato librario-editoriale, giornalismo e pubblico impiego, accettando comunque di ristabilire un legame con il polo istituzionale.

Più rapsodici i contributi che nella seconda parte del volume, Dall’accademia alla città: formazione dei professionisti del gusto e disciplina dell’immagine, affrontano una gamma di temi inerenti la produzione artistica, l’architettura e l’urbanistica. L’utilità civile delle arti fu il principio ispiratore dei grandi concorsi di architettura indetti dall’Accademia di Belle Arti di Brera (dal 1803 Accademia nazionale), di cui tratta Giovanna D’Amia, laboratorio di progettazione di edifici pubblici e di attrezzature urbane volte a conferire a Milano l’aspetto di città capitale. Tuttavia, il soggetto del concorso bandito nel 1815, la costruzione di un tempio cattolico a croce greca, fu un indizio già eloquente del mutato clima politico. All’immagine della nuova capitale e alla definizione dell’apparato normativo per costruirla diede un contributo determinante la Commissione di Pubblico ornato, che, istituita nel 1807, seguitò a vigilare sul decoro urbano, nella cornice politica radicalmente rinnovata, nella fase d’incremento dell’edilizia privata d’impronta tardoneoclassica (Gaia Piccarolo). Vero e proprio “edificio modello”, significativo riferimento per le nuove realizzazioni o per le opere di abbellimento di residenze nobiliari-alto borghesi, fu il palazzo di Francesco Melzi d’Eril, costruito tra il 1805 e il 1807 sul corso di Porta Nuova (Lucia Tenconi). In materia di architettura del paesaggio, l’impostazione della Malmaison, non solo luogo di villeggiatura e una delle sedi ufficiali dell’imperatore, ma anche una delle principali tenute di sperimentazione botanica e agropastorale di Francia, si riflesse nell’ampliamento del parco della villa reale di Monza, secondo il progetto di Luigi Canonica, proseguito «in totale coerenza» dal viceré arciduca Ranieri, che fece della reggia la sua residenza estiva (Maurizio Boriani). Viceversa, non si confece al gusto più sobrio della restaurata monarchia austriaca il monumentale centrotavola, commissionato al romano Giacomo Raffaelli, «caposcuola del mosaico in piccolo», prezioso manufatto consono alla royauté napoleonica. Se, di fatto, spettò ad Andrea Appiani il ruolo principale di pittore di Napoleone, nelle opere di Giuseppe Bossi, uomo delle istituzioni, segretario dell’Accademia di Brera, mai comunque scaduto nella cortigianeria, la sua iconografia fu il frutto “di un’interiorizzazione del personaggio”, di un approccio più studiato e ricco di sottintesi ideologici, che esprimevano il mutare dei sentimenti del pittore verso la figura dell’imperatore (Silvio Mara). Il denso contributo di Laura Facchin tratteggia l’intensa stagione di mecenatismo e collezionismo di cui furono protagonisti sia esponenti di punta dell’entourage francese, sia due personaggi di primo piano degli anni napoleonici, pur tra loro antagonisti politici: Giuseppe Sommariva e Francesco Melzi d’Eril. Infine, le Riflessioni a margine di Giuliana Ricci vertono sul già ipotizzato ruolo di continuità tra periodo asburgico, anni francesi e restaurazione, con una ricchezza di considerazioni e di spunti sul ruolo delle figure professionali deputate alla gestio- ne del territorio urbano e alla definizione dei progetti di rimodellamento del suo volto architettonico.

Notes
1 Cfr. M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Milano, Franco Angeli, 2012 2.

Zitierweise:
Betri, Maria Luisa: Rezension zu: Milano 1814. La fine di una capitale, a cura di Emanuele Pagano ed Elena Riva, Milano 2019. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2020, Vol. 168 pagine 168-171.

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Archivio Storico Ticinese, 2020, Vol. 168 pagine 168-171.

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